domenica 29 dicembre 2013

Like Father, Like Son - Soshite Chichi ni Naru

Vorrei chiudere il 2013 con una pellicola che quest’anno ha ricevuto importanti riconoscimenti: Premio della Giuria al 66mo Festival di Cannes, miglior film all'Asia Pacific Film Festival di Macau, premiato al Vancouver International Film Festival, ha partecipato al Festival di Toronto. La DreamWorks ha acquistato i diritti per farne un remake dopo che il film a Cannes ha attirato l’attenzione dello stesso Steven Spielberg. Tale padre, tale figlio narra di due bambini scambiati in culla a Tokyo, che crescono in due famiglie completamente diverse per censo e abitudini. L’errore involontario di un’infermiera, che dopo sei anni confesserà la verità, creerà scompiglio in entrambi i nuclei familiari. Koreeda Hirokazu già autore del bello e autobiografico Still Walking ritratto intimo e straziante di una famiglia che non riusciva a superare la morte di uno dei figli, è di nuovo alle prese con le dinamiche familiari, anche se qui, quasi all’opposto, si scopre l’esistenza di un figlio “in più”. Una storia toccante e tradizionale, ispirata, ha raccontato lo stesso Koreeda, ad un libro che parlava di due bambini scambiati alla nascita in Giappone al tempo dei baby boomers degli anni ‘60.
La vicenda tuttavia è originale, il regista da quando è diventato padre ha sentito l’esigenza di indagare sull’intreccio tra DNA e legami di sangue. Nonomiya Ryota, giovane e rigido architetto, professionista di successo, è interpretato da Fukuyama Masaharu, celebre cantante e personaggio televisivo giapponese. Lily Franky, anche lui volto noto in patria, ha il ruolo invece dell’altro padre, un modesto negoziante, ma disponibile e affettuoso con i figli. Consiglio: preparate i kleenex...!

domenica 22 dicembre 2013

Tokyo Godfathers – Un dono di Natale

Il mio omaggio personale e natalizio a Kon Satoshi scomparso prematuramente nel 2010 all'età di 47 anni è ricordare il suo Tokyo Godfathers. Film d'animazione del 2003 scritto, disegnato e diretto da Kon è un remake metropolitano di In nome di Dio (The Three Godfathers). Quest’ultimo girato da John Ford nel 1948 (all'epoca ne esistevano già varie versioni risalenti agli anni del muto, una diretta dallo stesso Ford con protagonista Harry Carey padre) non era il solito western ma quasi una favola natalizia. Una storia di redenzione e salvezza che vedeva i tre banditi, il biondo Harry Carey jr., il bruno John Wayne e il messicano Pedro Armendáriz trasformarsi in tre padrini, tre re magi che prendevano sotto la loro ala protettrice un neonato orfano. C’era persino la grotta con l'asinello.
In Tokyo Godfathers ci spostiamo dalla Valle della Morte alla capitale giapponese. È la vigilia di Natale e scende la neve su Tokyo. Da qualche parte a Shinjuku, tre esuberanti senzatetto si fanno compagnia. Sono Gin, un ex ciclista alcolizzato, Hana, uno sfortunato travestito e Miyuki, una ragazzina scappata di casa. Mentre i tre rovistano tra i rifiuti per cercare i loro personalissimi “regali di Natale”, sentono un pianto soffocato proveniente dal cumulo di immondizie: è una bella neonata. Gin propone subito di correre alla polizia e consegnare la bimba abbandonata, ma Hana, che aveva sempre sognato di essere madre, decide di tenerla e di chiamarla Kiyoko. Aiutati da un biglietto da visita e da qualche fotografia, gli improbabili componenti di questa strana famiglia iniziano il viaggio alla ricerca della casa della bambina.
Una delicata e tragicomica odissea che li aiuterà anche ad entrare nel cuore delle loro storie personali e a ritrovare la felicità. I protagonisti del film di Kon Satoshi sono senzatetto, reietti dalla società. Mentre la gran parte dei film d’animazione tende a puntare su fantascienza, forze soprannaturali o magia, Kon adotta una prospettiva opposta, trasformando i tre eroi per caso in personaggi brillanti e indimenticabili. Le tecniche visuali di Kon sono straordinarie ma qui l’autore di Perfect Blue, Millenium Actress e di Paprika disegna un piccolo miracolo pieno di colori e di vita.

domenica 15 dicembre 2013

Omoide no Marnie - When Marnie was There

È stato annunciato il nuovo film dello Studio Ghibli, il primo senza il maestro Miyazaki, Omoide no Marnie - When Marnie was There. L’uscita è prevista per l’estate del 2014. Basato sul romanzo per ragazzi di Joan G. Robinson narra la storia di una bambina solitaria, Anna, che viene mandata dai genitori adottivi a trascorrere l’estate in un villaggio sul mare nel Norfolk. Qui tra le dune di sabbia conosce Marnie, una misteriosa ragazzina, che diventerà la sua prima amica... Sebbene la vicenda originale sia ambientata in Inghilterra la trasposizione animata si svolgerà in Giappone. Yonebayashi Hiromasa, che ha debuttato alla regia con Karigurashi no Arrietty (Arrietty nella versione italiana) è alla direzione, e insieme a Niwa Keiko e Ando Masashi, è autore della sceneggiatura. Arrietty in Giappone era stato campione d’incassi per l'anno 2010 (con una cifra di circa 87 milioni di euro) diventando il film di maggior successo al botteghino tra quelli dello Studio non diretti da Miyazaki. Si trattava di un adattamento dei racconti della scrittrice inglese Mary Norton, The Borrowers.
Arrietty, una minuscola ragazzina di 14 anni vive, con i suoi altrettanto minuscoli genitori, sotto al pavimento di una grande casa situata in un magico e rigoglioso giardino alla periferia di Tōkyō. Tutto ciò che Arrietty e la sua famiglia possiedono, lo “prendono in prestito”: zollette di zucchero o piccoli oggetti con cui fabbricare tavoli, sedie e utensili. Tutto viene preso in piccolissime quantità, così che nessuno se ne accorga. Un giorno Sho, un ragazzino di 12 anni che deve sottoporsi a urgenti cure mediche, si trasferisce nella casa, e tra i due ragazzi, nonostante le diverse dimensioni, nasce una tenera amicizia... Ne esce una pellicola sensibile e fresca in cui la natura e i sentimenti semplici dei protagonisti emergono e vincono su un mondo cinico e ormai preda del consumismo. Yonebayashi, considerato il miglior animatore dello Studio Ghibli, è stato scelto come erede dal maestro che gli ha preferito il suo stesso figlio Goro. Per Ponyo sulla scogliera Yonebayashi aveva diretto la scena in cui Ponyo corre su enormi onde alla ricerca di Sosuke e lo stesso Miyazaki era rimasto molto impressionato dal risultato. I rapporti tra padre e figlio sono invece sempre stati burrascosi. Goro, laureato in agricoltura e scienze forestali, ha lavorato per molto tempo come consulente nella progettazione di parchi e giardini. Riluttante a seguire le orme paterne, è stato poi convinto dal produttore Suzuki Toshio a lavorare al Ghibli Museum (è suo il progetto del parco a tema dello Studio, incantevole isola immersa nel verde di Mitaka) e poi per lo Studio stesso. La sua opera prima, I racconti di Terramare del 2006, nonostante il fascino fantasy non è del tutto riuscita. La collina dei papaveri del 2011, suo secondo lavoro, sceneggiato dallo stesso Hayao, pur avendo avuto un discreto successo al botteghino, manca della poesia paterna. La storia, ambientata a Yokohama nel 1963, un anno prima dei giochi olimpici di Tōkyō, è un racconto sentimentale e romantico, un po’ old style.

domenica 8 dicembre 2013

Kaguya-hime no monogatari - Storia della principessa Kaguya

Nelle sale giapponesi dal 23 novembre Kaguya-hime no Monogatari (Storia della principessa Kaguya) è il nuovo lavoro di Takahata Isao, celebre autore dello Studio Ghibli. Poco noto in Italia, Takahata da decenni collabora con il maestro Miyazaki con il quale fondò lo Studio nel 1985. Il film avrebbe dovuto essere distribuito contemporaneamente a Kaze tachinu, l’ultimo Ghibli diretto da Miyazaki, così come avvenne 25 anni fa con l'uscita contemporanea delle pellicole Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole (storia straziante di due fratellini testimoni e vittime degli orrori della Seconda guerra mondiale).
Lo stretto rapporto tra uomo e natura, i sentimenti, l’ironia e la commozione, il rifiuto della guerra, sono la sua cifra. Così come romanzi per ragazzi della letteratura occidentale adattati e trasformati in serie televisive. Heidi, Marco (l’animazione tratta dal racconto del libro Cuore, Dagli Appennini alle Ande), Anna dai capelli Rossi. Noi italiani degli anni ‘70 siamo cresciuti con le opere di Takahata, spesso senza saperlo.
Bellissimo il suo Pom poko (fu un enorme successo in Giappone, il film più visto del 1994 - è uscito in home video in Italia nel 2011) narra la storia di un gruppo di tanuki (cani-procioni, creature tipiche del folklore giapponese) in lotta per conservare il loro habitat naturale, una collina vicina a Tokyo, che rischia di essere trasformata in un quartiere residenziale. Kaguya-hime no Monogatari è un racconto popolare del X secolo, ed è il più antico esempio di narrativa giapponese.
Un tagliatore di bambù vede una canna che brilla nella notte. Aprendola scopre al suo interno una bambina minuscola come un pollice.
L'uomo, che non ha figli, porta la piccola a casa e insieme alla moglie la crescerà come fosse loro figlia. Le darà il nome di Kaguya, “splendente” e la bambina si trasformerà in una bellissima donna. Molti uomini la chiederanno in moglie, tra i quali lo stesso imperatore del Giappone, ma lei rifiuterà tutti. Sospira e guarda la luna, da lì è arrivata e lì vuole tornare. E una notte volerà via lasciando una lettera e una goccia di elisir dell’immortalità per l'imperatore. L’uomo si recherà sulla montagna più alta del Giappone, per bruciare la lettera e l’elisir. Il monte da allora prenderà il nome di Fuji “immortalità” e il fumo che sale dalla sua cima è l’elisir che brucia senza fine. Takahata dirige con mano sensibile e delicata le avventure di una principessa vivace e allegra che preferisce la Terra con i suoi colori e la sua vitalità ad una Luna troppo bianca e perfetta.
I tratti di pastello gentile si spezzano tuttavia quando il mondo della luna la reclama, e una tragica corsa nella notte innevata mostrerà tutta l’angoscia della giovane donna… Il geniale Joe Hisaishi è l’autore delle musiche. E chissà se dopo l’addio di Miyazaki con Kaze tachinu anche questo Kaguya-hime non si riveli come il lavoro finale di Takahata, la sua delicata circolarità ne avrebbe del resto tutti i toni.

domenica 1 dicembre 2013

47 Ronin - Classico rivisitato in salsa cinohollywood

47 Ronin è forse è la storia più rappresentata in Giappone, sul piccolo e grande schermo. Un classico, un po’ come nel mondo occidentale I tre moschettieri o Anna Karenina. Ma si tratta di una storia vera. Ha inoltre ispirato numerosi di racconti e opere di teatro kabuki, la più nota delle quali è Chushingura. I 47 rōnin erano un gruppo di samurai rimasti senza padrone (e quindi reietti per la società giapponese, considerati alla stregua di pericolosi cani sciolti), dopo che il loro daimyō era stato costretto a commettere seppuku (il suicidio rituale) per aver aggredito il maestro di protocollo dello Shōgun, Lord Kira. Gli uomini attesero due anni e pianificarono a sangue freddo la loro vendetta. Uccisero il cortigiano e tutti i suoi discendenti maschi. La loro era stata un’impresa onorevole, secondo il codice dei guerrieri, ma fu vista come una sfida al potere e all’autorità dell’imperatore. Per questo furono obbligati a commettere anch’essi seppuku. Solo il più giovane venne lasciato in vita per portare periodicamente offerte in favore degli spiriti dei compagni. Quella che arriva nelle sale il 6 dicembre in Giappone e il giorno di natale in Usa (da noi uscirà solo il 13 marzo 2014) è una versione in 3D in salsa cinohollywood.
Una lavorazione e una distribuzione sofferta, le prime riprese sono iniziate nel marzo 2011, doveva essere distribuito nel 2012 ma da novembre si è passati al febbraio dell’anno successivo per slittare poi di quasi un anno. La regia è di Carl Rinsch alla sua prima grande prova in lungometraggio. La trama pur traendo ispirazione dalla realtà si lancia in un mondo fantastico di streghe, mostri e giganti che ricorda più il nuovo corso - mega effetti speciali e draghi volanti - preso dall’entertainment cinese, con aggiunta dei must “vendetta, onore e riscatto”.

I protagonisti eccetto la star Keanu Reeves sono quasi tutti di origine giapponese da Hiroyuki Sanada a Cary-Hiroyuki Tagawa nel ruolo dello Shōgun, da Rinko Kikuchi nei panni della strega a Kou Shibasaki in quelli della dolce Mika figlia del lord ucciso. Da Tadanobu Asano, Lord Kira, al giovane pop idol Jin Akanishi.

domenica 24 novembre 2013

Carne giapponese e tradizione toscana

Il Giappone non è solo pesce crudo, sushi o sashimi come tanti credono ma alleva alcuni dei migliori bovini al mondo. I wagyū dal manto nero sono celebri per la tenerezza, il sapore ricco e la caratteristica struttura marmorizzata, il grasso infatti è ben armonizzato e distribuito nel muscolo, la loro carne è costosissima.
Le tecniche di allevamento mischiano realtà e leggenda, si racconta che gli animali ascoltino Mozart, vengano nutriti con birra e sake e sapientemente massaggiati uno ad uno. I giapponesi amano mangiare la carne alla griglia - yakiniku - molti sono i ristoranti specializzati, dove i clienti cuociono la carne cruda direttamente al tavolo e la accompagnano con verdure e salse a base di soia o miso.

Vivendo dall’altra parte del mondo mi “consolo” con la Chianina! Quando arriva il primo freddo, fuori piove e il vento ulula contro le finestre mi piace cucinare ragù (nella foto qui sotto), carni speziate o brasate.
Quest’anno ho ritrovato e preparato il “Peposo” della tradizione toscana, più precisamente del fiorentino (la zona originaria era l'Impruneta). È un piatto lungo, richiede quasi tre ore di cottura, ma quando lo cucinate un meraviglioso profumo di alloro e chiodi di garofano si diffonde per tutta la casa. In passato la carne immersa completamente nel vino e nelle spezie veniva cotta nella bocca del forno ma anche oggi utilizzando un tegame di coccio o anche una semplice pentola sul fornello, si può ottenere un buon risultato.

Ingredienti
1 kg di carne a tocchetti (muscolo di Chianina)
1 litro di Chianti
pepe nero in grani (una ventina di chicchi)
aglio, 1 spicchio a testa
2 rametti di rosmarino
3 chiodi di garofano
alloro q.b.
sale q.b.
pane toscano (senza sale) posato (di un giorno o due prima)

In una capace pentola di coccio si dispone la carne, si aggiungono poi tutti gli ingredienti, si sala, si copre con il vino e si cuoce sul fornello a calore moderato per circa tre ore controllando sempre che il vino avvolga la carne.

Quando il rosmarino avrà perso tutti i rametti e si sarà sbiancato il piatto sarà pronto. La carne risulterà molto morbida e saporita pur senza aver usato né grassi né soffritti. Tostate poi le fette di pane sulla griglia, versateci sopra la carne calda e servite.

domenica 17 novembre 2013

Il Giappone di Kurosawa Kiyoshi premiato a Roma

L’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma svoltasi dall’8 al 17 novembre 2013 all’Auditorium Parco della Musica ha premiato il Giappone di Kurosawa Kiyoshi che con il suo Sebunsu kodo (Seventh Code) ha ottenuto il riconoscimento per la migliore regia. Il film che vede protagonista la ex AKB48 Maeda Atsuko – pop idol famosa in patria, “È il suo momento” dice di lei il regista – è una sorta di spy story che si svolge in Russia, a Vladivostok.
Akiko arriva da Tokyo per incontrare l’imprenditore Matsunaga, perché da quando ha cenato con lui non riesce a dimenticarlo. Finalmente lo ritrova, ma Matsunaga si limita a raccomandarle di non fidarsi di nessuno in terra straniera e poi scompare. Akiko ricomincia a cercarlo. Sarà davvero l’amore a muoverla? Iniziano così le vicende di una pellicola d’azione e spionaggio industriale un po’ insolita per il maestro del J-Horror che con i suoi 60 minuti di durata e lo stile serrato si avvicina quasi ad una serie televisiva... Kurosawa era anche in concorso nella categoria cortometraggi e mediometraggi CinemaXXI con Beautiful New Bay Area Project (29 min.). Ambientato nella città marittima di Yokohama è la storia delle schermaglie tra un uomo e una donna. Il presidente di un’azienda di progettazione urbana, incontra una bella portuale di nome Takako. S’innamora a prima vista di lei, che però non lo ricambia. Frustrato dall’atteggiamento freddo della donna la deruba. Takako, decisa a riprendersi ciò che le appartiene, sgomina le guardie del corpo del presidente e...
Miike Takashi ormai habitué della passerella romana ha partecipato al concorso con l’ironico e surreale The Mole Song - Undercover Agent Reiji tratto da un celebre manga di Takahashi Noboru. Nella “Canzone della talpa” la recluta Kikukawa Reiji (uno spassoso Ikuta Toma) si diploma con il punteggio più basso di tutti i tempi. Un giorno, Reiji è convocato da Sakami, Capo della Polizia che lo licenzia per condotta disonorevole. In realtà gli affida l’incarico di infiltrarsi in un’organizzazione criminale e arrestare Todoroki Shuho, boss del clan yakuza più potente della zona del Kanto.
Le lotte di potere all’interno dell’organizzazione criminale, che mira al controllo dell’intero Giappone, trascinano Reiji in una serie di situazioni al limite della follia. Miike portava anche la pellicola fuori concorso Blue Planet Brothers, una misteriosa storia in dieci episodi, tutti in bilico tra commedia dell’assurdo, fantascienza e fantasy. La storia di un incontro, che fa nascere un trio dei più assurdi: un samurai dell’era feudale che tiene banco nella capitale, un alieno in visita dal pianeta Cygnus, un folletto (buono o cattivo?). Le loro vicende si intrecciano le une con le altre nei più diversi luoghi di Tokyo.

domenica 10 novembre 2013

Tōkyō monogatari – Viaggio a Tōkyō

Ozu Yasujirō è un maestro. E il suo capolavoro è proprio questo Viaggio a Tōkyō, un soggetto semplice e quotidiano che narra di gente comune illuminata e trasfigurata dallo sguardo del regista. Marito e moglie lasciano la campagna di Onomichi vicino a Hiroshima per far visita ai figli che vivono e lavorano a Tōkyō. Ma giunti nella capitale si rendono conto che i due maggiori, Kōichi, un semplice pediatra e Shige, una modesta parrucchiera, non hanno tempo per loro. Sono attivi e laboriosi ma freddi e cinici nei confronti dei genitori.
Più caldo è il legame con la nuora Noriko, vedova del terzo figlio, Shōji, scomparso in guerra. Decidono allora di tornare a casa, rincuorati comunque dal fatto che i figli stanno bene. Ma durante il viaggio l’anziana madre ha un malore e giunge a Onomichi in fin di vita. Tutti i figli si riuniranno attorno al letto di morte della donna poi ognuno riprenderà la propria strada. La pellicola del 1953 è stata girata in bianco e nero con un uso denso del chiaroscuro del quale oggi restano solo lievi tracce poiché il negativo originale andò bruciato in un incendio. Silenzi e sentimenti, ombre, dolori e piccole gioie. Tutto scorre come un fiume lento e inesorabile verso il finale nel quale il vecchio dona alla nuora gentile l’orologio che era stato della moglie: “È strano - le dice -. Abbiamo dei figli, ma tu sei stata quella che ha fatto di più per noi. E non abbiamo nemmeno un legame di sangue. Grazie”. “Ora che sono solo - confessa poi l’uomo alla vicina di casa - le giornate sembrano più lunghe”. Il ventaglio vicino al suo volto scandisce le ore. Il battello scivola lungo la baia, il treno passa sui binari, i panni stesi ondeggiano al vento.

sabato 2 novembre 2013

Kwaidan – Storie di fantasmi

Quale momento più adatto dell’anno per parlare di fantasmi? Siamo nei giorni in cui in Italia si visitano i cimiteri e si apre il canale di comunicazione tra i vivi e i morti, in una profusione di splendidi crisantemi (fiori incantevoli - simbolo del Giappone - purtroppo relegati dalla nostra tradizione solo all’ambito funebre). Kwaidan (Storie di fantasmi) è un film del 1964 diretto da Kobayashi Masaki. Sono quattro vicende distinte ispirate ai racconti orali del folklore giapponese.
Il soggetto è di Lafcadio Hearn, scrittore e giornalista di origine greco-irlandese. Emigrato a 19 anni negli Stati Uniti fu inviato come corrispondente in Giappone dove scelse poi di vivere, sposò la figlia di un samurai e prese il nome di Koizumi Yakumo. Le storie sono I capelli neri/Kuronami; La donna della neve/Yuki-onna; Hoichi senza orecchie/Miminashi Hoichi no hanashi e In una tazza di tè/Chawan no naka. La pellicola vinse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes ed ottenne una nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Un budget enorme per l’epoca, 350 milioni di yen, riprese della durata di un anno. Segreti, misteri e sovrannaturali creature, avvolti da un rigore e da un’eleganza raffinata. Occhi che scrutano, amore e morte, pazzia e vendetta. Musiche e illusioni che si intrecciano nell’aria e richiamano le ombre di coloro che non sono più. Scenografie e stupendi cromatismi, inchiostri e pitture che si disfano sullo schermo e rimandano ad un surreale evocativo e fantastico. Nero come la notte, rosso come il sangue, blu come l’oceano. E poi viola cupo colore che tutto unisce in sé.

sabato 26 ottobre 2013

Qualcuno da amare – Il maestro e Akiko

Un anziano professore e una giovane studentessa si incontrano a Tokyo. Lui tutta la vita alle spalle, lei una tela nuda che attende solo di essere dipinta. Lui ha chiesto che una ragazza gli sia inviata a casa, ed è lei a presentarsi alla sua porta, offrendogli il suo corpo. Cogliamo solo uno spezzone delle loro esistenze, non si conosce ciò che è accaduto prima, ne che cosa avverrà poi... L’iraniano Abbas Kiarostami in Qualcuno da amare (Selezione Ufficiale a Cannes e al Toronto Festival 2012) è alle prese con una complessa trasferta giapponese. La produzione della pellicola - interamente girata a Tokyo, in lingua giapponese, con troupe e attori del luogo - doveva partire nel marzo 2011 ma il disastroso terremoto che ha colpito il paese l’11 ha interrotto il progetto e i partner finanziari si sono ritirati. Il regista sperava di ripartire in maggio ma a quel punto gli attori principali non erano più disponibili e la produzione ha dovuto ricominciare tutto da capo. Dopo qualche mese il cast era al
completo e, a parte l’attore Kase Ryo, nessuno dei protagonisti era un volto conosciuto per gli appassionati di cinema. Eppure l’intuito di Kiarostami gli ha permesso di realizzare un ottimo lavoro. La ragazza, un’esordiente intensa e delicata, Takanashi Rin, il professore, un perfetto Okuno Tadashi, una vita sul set ma solo in veste di comparsa. Il modo di dirigere di Kiarostami è del tutto inusuale. Non permette agli attori di leggere la sceneggiatura per intero e ogni giorno rivela loro solo i dettagli della scena che sarà stata girata il giorno successivo. Non conoscono il ruolo dei loro personaggi nella storia e neanche come finirà il film.

Lo sguardo straniero di Kiarostami riesce a cogliere la vera anima giapponese. Si respira l’atmosfera della capitale. Lo scontro tra tradizione e modernità, tra le diverse generazioni, tra i villaggi della campagna e la grande metropoli. Nonostante questo Kiarostami ha rivelato che “La fatica è stata immensa”. “Durante le riprese - ha raccontato - l’assistente di Akira Kurosawa è venuta a trovarmi sul set. Sedevo su una sedia a rotelle per la stanchezza e spesso usavo un bastone. Lei mi ha confessato che Kurosawa aveva vissuto la stessa esperienza quando girava in Russia, era devastato e piangeva ogni notte. Io le ho risposto che piangevo una notte sì e una no”.

sabato 19 ottobre 2013

Departures - Partenze

Departures è un film giapponese del 2008 diretto da Takita Yōjirō e premiato con l'Oscar per il miglior film straniero. Il titolo in lingua originale Okuribito significa “persona che accompagna alla partenza” dove per viaggio s’intende quello estremo, definitivo. La preparazione dei cadaveri, il lavaggio cerimoniale del corpo, la vestizione, e il posizionamento del defunto nella bara alla presenza dei familiari, non è una carriera molto agognata, neanche in Giappone, paese in cui la morte riveste ancor oggi un ruolo essenziale pur essendosi nel tempo trasformata sempre più in un tabù. La vita moderna proiettata
sulla ricchezza e sul successo, sulla velocità, sul qui e ora, non contempla più il guardarsi dentro e l’antico senso di lenta spiritualità. Quando l’orchestra in cui suona il violoncello si scioglie, Kobayashi Daigo (un perfetto e lievemente ironico Motoki Masahiro) abbandona Tōkyō e la sua professione di musicista per tornare con la moglie nel piccolo paesino di provincia che l’ha visto crescere. Scorrendo le offerte di lavoro viene attratto da un annuncio che sembra promettente e che lui crede provenire da un’agenzia di viaggi.
Recatosi nell’ufficio per il colloquio scopre bare nuove allineate sul muro e capisce che si tratta in realtà di un’agenzia funebre. Il lavoro riguarda la preparazione dei corpi prima della cremazione. Daigo accetterà pur riluttante e il suo sarà un viaggio alla ricerca di se stesso, un ritorno alle radici per fare pace con il passato e ritrovare il misterioso volto del padre perduto. L’intenso Yamazaki Tsutomu veste i panni di Sasaki, veterano datore di lavoro e mentore di Dago. La dolce Hirosue Ryōko, ha il ruolo della moglie di Daigo, restia ad approvare la scelta estrema dell’uomo. Il Maestro Hisaishi Joe, autore delle straordinarie musiche di molti film di Miyazaki Hayao tra i quali La città incantata e Il castello errante di Howl crea una colonna sonora a tratti forte e a tratti delicata che vede protagonista il suono del violoncello tanto amato da Daigo. Il film è girato nel nord-est del Giappone, nella prefettura di Yamagata, uno scenario bellissimo fa da sfondo alla storia che si svolge lungo l’arco delle quattro stagioni. Morte e vita convivono fianco a fianco nell’eleganza di una cerimonia, silenziosa, calma e raffinata.

sabato 12 ottobre 2013

Japponara & Carbonara - Tra Oriente e Occidente

La Carbonara è un piatto popolare e moderno ma le sue origini si perdono nel mistero. Viene citato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel ‘44. Nel classico ricettario La cucina romana del 1930 di Ada Boni non se ne fa menzione. I cultori della ricetta con il guanciale di maiale dicono che fu inventata dai carbonai dell’Appennino laziale e abruzzese e realizzata con ingredienti tipici della zona come lardo, cacio e uova. Fu portata poi nella capitale nel secondo dopoguerra dagli sfollati. C’è chi dice che fu inventata negli anni ’40 per i soldati americani a Roma che amavano fare colazione con bacon&eggs o perché in quel periodo uova in polvere e bacon erano facilmente reperibili. E sono appunto i fautori dell’uso della pancetta. Chi ancora la fa radicare nell’antica cucina napoletana o vero e proprio street-food (spaghetti al cartoccio) nella Napoli liberata. Ne esistono infinite varianti non solo in Italia ma nel mondo intero. Gli americani oggi arrivano a mischiare la pasta con le uova strapazzate nel bacon! I giapponesi adorano le uova semi-crude. Quello nella foto si chiama “Onsen Tamago (uovo in camicia all'acqua termale)”, come mi ha spiegato gentilmente Yuri Kagawa cuoca giapponese che tiene un bel blog con sfiziose ricette Yuri’s Kitchen. Per i giapponesi, dice Yuri, l'uovo della Carbonara italiana è troppo cotto e spesso viene aggiunta la panna per rendere l’insieme più cremoso. L’uovo in camicia quasi crudo poggiato sulla pasta può dunque rendere il piatto invitante tanto che ormai la variante si trova in molti ristoranti di Tōkyō e non solo in quelli di cucina italiana. La Japanese Style Carbonara, conosciuta anche come “japponara” o “giapponara”, è una rivisitazione nipponica della classica specialità romana. Il piatto è molto artistico, nella cucina del Sol Levante la presentazione è essenziale. Riporto una delle ricette più diffuse, seguita dalla Carbonara tradizionale, così come mi è stata insegnata da vari amici di Roma, Ettore in particolare, che ringrazio per la pazienza. In coda ho inserito alcune mie varianti... Perché come dice Ettore in cucina (come in amore e in guerra) non esistono regole!

Japanese Style Carbonara

Spaghetti (100 gr. a persona)
Pancetta
Un uovo intero + un “Onsen Tamago” (a persona)
Pecorino o Parmigiano grattugiato
Panna
Pepe nero
Erba cipollina
Olio extravergine di oliva

Mischiare in una ciotola il formaggio con il pepe nero. Sbattere separatamente le uova con la panna. Far bollire l’acqua e immergervi la pasta. Rosolate in un’ampia padella la pancetta nell’olio con l’erba cipollina. Preparate a parte le uova in camicia. Scolare la pasta al dente e mettetela nella padella appena tolta dal fuoco, girate, quindi aggiungete il formaggio. Mischiate infine velocemente le uova con la panna senza farle rapprendere. Mettete gli spaghetti nel piatto e sopra ogni porzione poggiate l’uovo in camicia, guarnite con una spolverata di erba cipollina.

Carbonara tradizionale con varianti mie

Pasta (100 gr. a persona) a me piacciono gli spaghetti
(insieme a bucatini e rigatoni sono le qualità più usate a Roma)
Guanciale di maiale
Un tuorlo d’uovo a persona + un uovo intero
Pecorino romano (o metà Pecorino e metà Parmigiano)
Pepe nero
Sale
Olio extravergine di oliva

Prendete un terzo del formaggio e mischiatelo con il pepe e le uova sbattute. Rosolate bene il guanciale in una padella con l’olio rendendolo croccante e toglietelo dal fuoco. Scolate la pasta al dente e ponetela in una terrina, versateci sopra il guanciale, aggiungete un terzo del formaggio e mischiate; aggiungete le uova con il formaggio e mischiate; aggiungete il resto del formaggio, mischiate e servite.

A me piace anche rosolare il guanciale con poca cipolla bianca e un cucchiaio di latte. O aggiungere due cucchiai di acqua di cottura mentre amalgamo il formaggio. Non è ortodossa ma risulta delicata e saporita insieme. Tenete conto che il pecorino romano che si acquista fuori dal Lazio spesso non è forte come l’originale. Perde per strada quasi tutto il suo gusto!!

giovedì 3 ottobre 2013

Doppio suicidio d'amore a Sonezaki - Al Teatro Argentina di Roma

Ricordate il delicato e poetico film Dolls di Kitano Takeshi? Personaggi come bambole guidate dai fili di un tragico destino, le loro storie erano intrecciate con un incantevole spettacolo di bunraku il teatro delle marionette giapponesi. Marionette che divenivano umane, soffrivano e morivano per amore. Il 4 e 5 ottobre al Teatro Argentina di Roma va in scena in prima assoluta Doppio suicidio d'amore a Sonezaki celebre e antico dramma giapponese scritto da Chikamatsu Monzaemon.
L’autore vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 è ritenuto lo Shakespeare giapponese. I suoi testi teatrali (ben centoventi) sono spesso drammi a sfondo sociale - si ispirava a fatti di cronaca ed eventi del tempo - che narrano di amori impossibili con protagonisti semplici commercianti. Le nuove figure andavano a sostituire guerrieri e condottieri, rispecchiando i mutamenti dell’epoca, e vennero molto apprezzate dal pubblico, mentre il suicidio d’amore visto come riscatto morale subentrava all’antico senso dell’onore e ai duelli.  
Doppio suicidio d'amore a Sonezaki ci riporta al 7 aprile del 16° anno dell’era Genroku (1703), quando Tokubei, un commesso di un negozio di salsa di soia, e la sua amante Ohatsu, una cortigiana di Dojima Shinchi, compirono insieme un suicidio d’amore nella foresta di Tenjin a Sonezaki (Umeda). Un mese dopo l’accaduto, il 7 maggio 1703, il drammaturgo Chikamatsu Monzaemon trasformò il fatto in un’opera per il teatro di burattini dal titolo completo Sonezaki shinju tsuketari Kannon meguri (Doppio suicidio d’amore a Sonezaki con pellegrinaggio da Kannon), messa in scena al teatro Takemotoza di Osaka.
L’opera ottenne un successo tale che il teatro Takemotoza fece fronte a tutti i debiti fino allora contratti. Nel bunraku i personaggi vengono rappresentati con marionette di grandi dimensioni, manipolate a vista. Ciascuna marionetta è mossa da tre manovratori. Insieme al kabuki e al noh è una delle maggiori espressioni artistiche del Giappone nell’ambito delle arti performative.
Riconosciuto come bene intangibile del Paese e designato anche dall’Unesco come Patrimonio
Immateriale dell’Umanità, il bunraku vanta una storia di oltre quattro secoli che approda sul palcoscenico del Teatro Argentina nella rilettura contemporanea di un artista e fotografo noto a livello internazionale, Sugimoto Hiroshi. Insieme con la compagnia, composta da 30 elementi eredi e custodi delle arti performative tradizionali, il regista porta in scena il dramma di Chikamatsu Monzaemon nella versione integrale e originale conferendole un tocco d’avanguardia per restituirci un’opera creativa in cui convivono con grande armonia tradizione e innovazione.

venerdì 27 settembre 2013

The Twilight Samurai – Il samurai del crepuscolo

Sanada Hiroyuki che nelle sale giapponesi è il guerriero corrotto Yashida in lotta contro Wolverine è stato The Twilight Samurai nel 2002 per Yamada Yōji, protagonista del primo capitolo della trilogia dedicata agli antichi guerrieri del maestro giapponese. Il film fu poi seguito da The Hidden Blade (2004) e Bushi no Ichibun – Love and Honor (2006). La pellicola pluripremiata (ottenne anche la nomination all’Oscar come miglior film straniero) - e purtroppo poco conosciuta nel nostro paese - si ambienta all’epoca del declino dei samurai e narra la storia di Seibei Iguchi un guerriero di classe inferiore. Addestrato ad uccidere ha ormai rinunciato a farlo dedicando la sua esistenza alla famiglia. Vedovo, vive in modo umile accudendo le due figlie e la madre malata. Poiché rientra ogni sera dal lavoro al crepuscolo gli altri samurai l’hanno soprannominato Tasogare Seibei.
Educa le figlie con molta dolcezza, aiutandole a sviluppare la loro intelligenza e le loro attitudini, davvero insolito in un mondo nel quale le donne erano sottomesse e ritenute inferiori. I guai arriveranno quando la bella Tomoe (Miyazawa Rie) il suo amore di sempre divorzierà da un marito brutale... Un film intenso e poetico, elegante e malinconico. Un uomo che ha deciso di abbandonare le regole del proprio rango, di scegliere l’umanità e il sentimento invece della guerra e della violenza è costretto a chinare la testa di fronte al dovere, all’obbedienza. Tornerà a combattere perché è il suo destino. Diviene pertanto simbolo di un’intera casta, emblema del crepuscolo di un’epoca di guerrieri.

venerdì 20 settembre 2013

The Grandmaster – Elegante affresco di un’epoca poco gradito ai giapponesi

L’ultima opera di Wong Kar-wai The Grandmaster è l’elegante e raffinato affresco di un’epoca e di un mondo ormai scomparsi. E i giapponesi non avranno certamente gradito lo schierarsi del regista al fianco della grande madre Cina mostrando i nipponici (si tratta dell’invasione della Manciuria e della seconda guerra sino-giapponese) come crudeli e sanguinari conquistatori. Il Kung Fu suona quasi come rivalsa di una nazione schiacciata. “Kung Fu, due parole. Orizzontale e verticale. Fai un errore: orizzontale. Sii l’ultimo a restare in piedi e vincerai”. Così parlava Ip Man (nome cinese Ye Wen), maestro di Wing Chun, leggendario insegnante di Bruce Lee, ma la pellicola prende ispirazione dalla biografia del celebre shifu per spaziare in un campo più vasto.
Ye Wen (straordinario Tony Leung, attore feticcio di Wong Kar-wai) nasce a Foshan, nel sud della Cina, in una famiglia benestante. Sua moglie (incarnata dal volto perfetto di Song Hye-Kyo) è una nobildonna, discendente della dinastia Manciù. Come ogni appassionato di Kung Fu, l’uomo frequenta il Padiglione d’Oro, un elegante bordello dove si incontrano i maestri più abili e dove anche le donne custodiscono alcuni dei segreti delle arti marziali. La Cina del 1936 attraversa gravi turbolenze politiche e minacce di divisione tra nord e sud. I giapponesi invadono le province del nord-est. Costretto a lasciare la Manciuria occupata, arriva a Foshan il Gran Maestro delle arti marziali della Cina del nord, Gong Baosen insieme alla figlia Gong Er (incantevole e letale Zhang Ziyi), unica erede della micidiale “tecnica delle 64 mani”, dello stile Ba Gua, creata dallo stesso Baosen.
L’incontro con Ye Wen cambierà la vita di tutti loro. I destini di Gong Er e Ye Wen si incroceranno di nuovo negli anni cinquanta, a Hong Kong. L’uomo ha perso tutto durante la guerra, la famiglia, il denaro e ha vissuto anni durissimi senza mai lasciarsi piegare dalle avversità. Infine ha aperto una scuola di Wing Chun che rapidamente conquista molti discepoli devoti diffondendo il suo stile di Kung Fu, ancora oggi insegnato e praticato nelle scuole di arti marziali di tutto il mondo. Il protagonista appare come un misto tra Ip Man e Bruce Lee. Gentile e istruito, un gentiluomo, un fine pensatore che in combattimento si trasformava, diventava un altro, feroce, quasi animalesco. Nasce ricco e fino a quarant’anni ha tutto. Poi va incontro a una serie di rovesci e di traumi durissimi, ma ogni volta si risolleva affrontando la vita con un sorriso. Il Kung Fu non è solo un allenamento fisico o uno strumento di autodifesa, ma anche una palestra per la mente e una filosofia. Molti altri personaggi intrecciano le loro esistenze con quelle di Ye Wen e Gong Er, ognuno erede e portatore di uno stile di combattimento. Il “Rasoio” (interpretato da Chang Chen), maestro di Ba Ji, uno degli stili di più esplosivi. Uomo solitario e misterioso, dal temperamento impulsivo. Patriota e idealista, è entrato a far parte della polizia segreta del governo nazionale col compito di dare la caccia ai traditori e assassinarli. Ha fama di essere spietato ma con un rigido codice morale. Dopo la vittoria comunista del 1949 riesce ad arrivare a Hong Kong, abbandona il partito nazionalista e avvia un negozio di barbiere, “La Rosa bianca”. Ding Lianshan (Zhao Benshan) vecchio maestro nato in Manciuria, lavora dietro le quinte, guidando la resistenza anti-nipponica. È ricercato dai giapponesi, e lascia intuire di avere avuto un ruolo centrale, anche se segretissimo, in eventi di portata storica. A Foshan fa il cuoco in un albergo: nessuno immagina i suoi trascorsi, né sospetta che possa avere tanta influenza.
Ma San (Zhang Jin) è maestro di Xing Yi e originario del nord della Cina. È uno dei migliori allievi di Gong Baosen e il suo successore designato. Ambizioso e assetato di potere, ricchezza e posizione sociale perderà di vista i veri valori del Kung Fu. Si spingerà al punto di collaborare con il Manciukuò, il governo fantoccio creato dai giapponesi nel nord-est del paese. I fan di pellicole come In the Mood for Love o 2046 non resteranno delusi da The Grandmaster, che è sensuale e sofisticato, gelido come il taglio del bisturi di un chirurgo. Il film tuttavia pur mostrando l’anima di un capolavoro manca di compiutezza.
Come accade spesso nei lavori di Wong Kar-wai arriva da noi sottoposto a tagli e ne soffre. 123 minuti contro i 133 della versione mostrata al 63mo festival di Berlino; 108 sono i minuti della versione americana, mentre il montaggio originale era stato di ben quattro ore. Otto anni di preparazione, quattro anni di riprese avvenute in condizioni climatiche proibitive, con gelo e piogge che hanno messo a dura prova tutti i membri della troupe. Il regista ha preteso anni di rigorosi allenamenti, quattro per Tony Leung che si è spezzato un braccio per ben due volte e adesso vuole darsi al più morbido Tai Chi arte marziale meno rischiosa e praticabile fino in tarda età. I colpi nelle sequenze di combattimento sono veri, Wong Kar-wai ha voluto che fossero pienamente autentiche. Le scene più dure ha rivelato lo stesso Tony Leung sono state quelle sotto la pioggia con le quali il film si apre. Girate per trenta notti di seguito, dalle sette di sera fino alla mattina, nel freddo, lottando con l’acqua fino alle caviglie.