venerdì 20 settembre 2013

The Grandmaster – Elegante affresco di un’epoca poco gradito ai giapponesi

L’ultima opera di Wong Kar-wai The Grandmaster è l’elegante e raffinato affresco di un’epoca e di un mondo ormai scomparsi. E i giapponesi non avranno certamente gradito lo schierarsi del regista al fianco della grande madre Cina mostrando i nipponici (si tratta dell’invasione della Manciuria e della seconda guerra sino-giapponese) come crudeli e sanguinari conquistatori. Il Kung Fu suona quasi come rivalsa di una nazione schiacciata. “Kung Fu, due parole. Orizzontale e verticale. Fai un errore: orizzontale. Sii l’ultimo a restare in piedi e vincerai”. Così parlava Ip Man (nome cinese Ye Wen), maestro di Wing Chun, leggendario insegnante di Bruce Lee, ma la pellicola prende ispirazione dalla biografia del celebre shifu per spaziare in un campo più vasto.
Ye Wen (straordinario Tony Leung, attore feticcio di Wong Kar-wai) nasce a Foshan, nel sud della Cina, in una famiglia benestante. Sua moglie (incarnata dal volto perfetto di Song Hye-Kyo) è una nobildonna, discendente della dinastia Manciù. Come ogni appassionato di Kung Fu, l’uomo frequenta il Padiglione d’Oro, un elegante bordello dove si incontrano i maestri più abili e dove anche le donne custodiscono alcuni dei segreti delle arti marziali. La Cina del 1936 attraversa gravi turbolenze politiche e minacce di divisione tra nord e sud. I giapponesi invadono le province del nord-est. Costretto a lasciare la Manciuria occupata, arriva a Foshan il Gran Maestro delle arti marziali della Cina del nord, Gong Baosen insieme alla figlia Gong Er (incantevole e letale Zhang Ziyi), unica erede della micidiale “tecnica delle 64 mani”, dello stile Ba Gua, creata dallo stesso Baosen.
L’incontro con Ye Wen cambierà la vita di tutti loro. I destini di Gong Er e Ye Wen si incroceranno di nuovo negli anni cinquanta, a Hong Kong. L’uomo ha perso tutto durante la guerra, la famiglia, il denaro e ha vissuto anni durissimi senza mai lasciarsi piegare dalle avversità. Infine ha aperto una scuola di Wing Chun che rapidamente conquista molti discepoli devoti diffondendo il suo stile di Kung Fu, ancora oggi insegnato e praticato nelle scuole di arti marziali di tutto il mondo. Il protagonista appare come un misto tra Ip Man e Bruce Lee. Gentile e istruito, un gentiluomo, un fine pensatore che in combattimento si trasformava, diventava un altro, feroce, quasi animalesco. Nasce ricco e fino a quarant’anni ha tutto. Poi va incontro a una serie di rovesci e di traumi durissimi, ma ogni volta si risolleva affrontando la vita con un sorriso. Il Kung Fu non è solo un allenamento fisico o uno strumento di autodifesa, ma anche una palestra per la mente e una filosofia. Molti altri personaggi intrecciano le loro esistenze con quelle di Ye Wen e Gong Er, ognuno erede e portatore di uno stile di combattimento. Il “Rasoio” (interpretato da Chang Chen), maestro di Ba Ji, uno degli stili di più esplosivi. Uomo solitario e misterioso, dal temperamento impulsivo. Patriota e idealista, è entrato a far parte della polizia segreta del governo nazionale col compito di dare la caccia ai traditori e assassinarli. Ha fama di essere spietato ma con un rigido codice morale. Dopo la vittoria comunista del 1949 riesce ad arrivare a Hong Kong, abbandona il partito nazionalista e avvia un negozio di barbiere, “La Rosa bianca”. Ding Lianshan (Zhao Benshan) vecchio maestro nato in Manciuria, lavora dietro le quinte, guidando la resistenza anti-nipponica. È ricercato dai giapponesi, e lascia intuire di avere avuto un ruolo centrale, anche se segretissimo, in eventi di portata storica. A Foshan fa il cuoco in un albergo: nessuno immagina i suoi trascorsi, né sospetta che possa avere tanta influenza.
Ma San (Zhang Jin) è maestro di Xing Yi e originario del nord della Cina. È uno dei migliori allievi di Gong Baosen e il suo successore designato. Ambizioso e assetato di potere, ricchezza e posizione sociale perderà di vista i veri valori del Kung Fu. Si spingerà al punto di collaborare con il Manciukuò, il governo fantoccio creato dai giapponesi nel nord-est del paese. I fan di pellicole come In the Mood for Love o 2046 non resteranno delusi da The Grandmaster, che è sensuale e sofisticato, gelido come il taglio del bisturi di un chirurgo. Il film tuttavia pur mostrando l’anima di un capolavoro manca di compiutezza.
Come accade spesso nei lavori di Wong Kar-wai arriva da noi sottoposto a tagli e ne soffre. 123 minuti contro i 133 della versione mostrata al 63mo festival di Berlino; 108 sono i minuti della versione americana, mentre il montaggio originale era stato di ben quattro ore. Otto anni di preparazione, quattro anni di riprese avvenute in condizioni climatiche proibitive, con gelo e piogge che hanno messo a dura prova tutti i membri della troupe. Il regista ha preteso anni di rigorosi allenamenti, quattro per Tony Leung che si è spezzato un braccio per ben due volte e adesso vuole darsi al più morbido Tai Chi arte marziale meno rischiosa e praticabile fino in tarda età. I colpi nelle sequenze di combattimento sono veri, Wong Kar-wai ha voluto che fossero pienamente autentiche. Le scene più dure ha rivelato lo stesso Tony Leung sono state quelle sotto la pioggia con le quali il film si apre. Girate per trenta notti di seguito, dalle sette di sera fino alla mattina, nel freddo, lottando con l’acqua fino alle caviglie.

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