sabato 26 ottobre 2013

Qualcuno da amare – Il maestro e Akiko

Un anziano professore e una giovane studentessa si incontrano a Tokyo. Lui tutta la vita alle spalle, lei una tela nuda che attende solo di essere dipinta. Lui ha chiesto che una ragazza gli sia inviata a casa, ed è lei a presentarsi alla sua porta, offrendogli il suo corpo. Cogliamo solo uno spezzone delle loro esistenze, non si conosce ciò che è accaduto prima, ne che cosa avverrà poi... L’iraniano Abbas Kiarostami in Qualcuno da amare (Selezione Ufficiale a Cannes e al Toronto Festival 2012) è alle prese con una complessa trasferta giapponese. La produzione della pellicola - interamente girata a Tokyo, in lingua giapponese, con troupe e attori del luogo - doveva partire nel marzo 2011 ma il disastroso terremoto che ha colpito il paese l’11 ha interrotto il progetto e i partner finanziari si sono ritirati. Il regista sperava di ripartire in maggio ma a quel punto gli attori principali non erano più disponibili e la produzione ha dovuto ricominciare tutto da capo. Dopo qualche mese il cast era al
completo e, a parte l’attore Kase Ryo, nessuno dei protagonisti era un volto conosciuto per gli appassionati di cinema. Eppure l’intuito di Kiarostami gli ha permesso di realizzare un ottimo lavoro. La ragazza, un’esordiente intensa e delicata, Takanashi Rin, il professore, un perfetto Okuno Tadashi, una vita sul set ma solo in veste di comparsa. Il modo di dirigere di Kiarostami è del tutto inusuale. Non permette agli attori di leggere la sceneggiatura per intero e ogni giorno rivela loro solo i dettagli della scena che sarà stata girata il giorno successivo. Non conoscono il ruolo dei loro personaggi nella storia e neanche come finirà il film.

Lo sguardo straniero di Kiarostami riesce a cogliere la vera anima giapponese. Si respira l’atmosfera della capitale. Lo scontro tra tradizione e modernità, tra le diverse generazioni, tra i villaggi della campagna e la grande metropoli. Nonostante questo Kiarostami ha rivelato che “La fatica è stata immensa”. “Durante le riprese - ha raccontato - l’assistente di Akira Kurosawa è venuta a trovarmi sul set. Sedevo su una sedia a rotelle per la stanchezza e spesso usavo un bastone. Lei mi ha confessato che Kurosawa aveva vissuto la stessa esperienza quando girava in Russia, era devastato e piangeva ogni notte. Io le ho risposto che piangevo una notte sì e una no”.

sabato 19 ottobre 2013

Departures - Partenze

Departures è un film giapponese del 2008 diretto da Takita Yōjirō e premiato con l'Oscar per il miglior film straniero. Il titolo in lingua originale Okuribito significa “persona che accompagna alla partenza” dove per viaggio s’intende quello estremo, definitivo. La preparazione dei cadaveri, il lavaggio cerimoniale del corpo, la vestizione, e il posizionamento del defunto nella bara alla presenza dei familiari, non è una carriera molto agognata, neanche in Giappone, paese in cui la morte riveste ancor oggi un ruolo essenziale pur essendosi nel tempo trasformata sempre più in un tabù. La vita moderna proiettata
sulla ricchezza e sul successo, sulla velocità, sul qui e ora, non contempla più il guardarsi dentro e l’antico senso di lenta spiritualità. Quando l’orchestra in cui suona il violoncello si scioglie, Kobayashi Daigo (un perfetto e lievemente ironico Motoki Masahiro) abbandona Tōkyō e la sua professione di musicista per tornare con la moglie nel piccolo paesino di provincia che l’ha visto crescere. Scorrendo le offerte di lavoro viene attratto da un annuncio che sembra promettente e che lui crede provenire da un’agenzia di viaggi.
Recatosi nell’ufficio per il colloquio scopre bare nuove allineate sul muro e capisce che si tratta in realtà di un’agenzia funebre. Il lavoro riguarda la preparazione dei corpi prima della cremazione. Daigo accetterà pur riluttante e il suo sarà un viaggio alla ricerca di se stesso, un ritorno alle radici per fare pace con il passato e ritrovare il misterioso volto del padre perduto. L’intenso Yamazaki Tsutomu veste i panni di Sasaki, veterano datore di lavoro e mentore di Dago. La dolce Hirosue Ryōko, ha il ruolo della moglie di Daigo, restia ad approvare la scelta estrema dell’uomo. Il Maestro Hisaishi Joe, autore delle straordinarie musiche di molti film di Miyazaki Hayao tra i quali La città incantata e Il castello errante di Howl crea una colonna sonora a tratti forte e a tratti delicata che vede protagonista il suono del violoncello tanto amato da Daigo. Il film è girato nel nord-est del Giappone, nella prefettura di Yamagata, uno scenario bellissimo fa da sfondo alla storia che si svolge lungo l’arco delle quattro stagioni. Morte e vita convivono fianco a fianco nell’eleganza di una cerimonia, silenziosa, calma e raffinata.

sabato 12 ottobre 2013

Japponara & Carbonara - Tra Oriente e Occidente

La Carbonara è un piatto popolare e moderno ma le sue origini si perdono nel mistero. Viene citato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel ‘44. Nel classico ricettario La cucina romana del 1930 di Ada Boni non se ne fa menzione. I cultori della ricetta con il guanciale di maiale dicono che fu inventata dai carbonai dell’Appennino laziale e abruzzese e realizzata con ingredienti tipici della zona come lardo, cacio e uova. Fu portata poi nella capitale nel secondo dopoguerra dagli sfollati. C’è chi dice che fu inventata negli anni ’40 per i soldati americani a Roma che amavano fare colazione con bacon&eggs o perché in quel periodo uova in polvere e bacon erano facilmente reperibili. E sono appunto i fautori dell’uso della pancetta. Chi ancora la fa radicare nell’antica cucina napoletana o vero e proprio street-food (spaghetti al cartoccio) nella Napoli liberata. Ne esistono infinite varianti non solo in Italia ma nel mondo intero. Gli americani oggi arrivano a mischiare la pasta con le uova strapazzate nel bacon! I giapponesi adorano le uova semi-crude. Quello nella foto si chiama “Onsen Tamago (uovo in camicia all'acqua termale)”, come mi ha spiegato gentilmente Yuri Kagawa cuoca giapponese che tiene un bel blog con sfiziose ricette Yuri’s Kitchen. Per i giapponesi, dice Yuri, l'uovo della Carbonara italiana è troppo cotto e spesso viene aggiunta la panna per rendere l’insieme più cremoso. L’uovo in camicia quasi crudo poggiato sulla pasta può dunque rendere il piatto invitante tanto che ormai la variante si trova in molti ristoranti di Tōkyō e non solo in quelli di cucina italiana. La Japanese Style Carbonara, conosciuta anche come “japponara” o “giapponara”, è una rivisitazione nipponica della classica specialità romana. Il piatto è molto artistico, nella cucina del Sol Levante la presentazione è essenziale. Riporto una delle ricette più diffuse, seguita dalla Carbonara tradizionale, così come mi è stata insegnata da vari amici di Roma, Ettore in particolare, che ringrazio per la pazienza. In coda ho inserito alcune mie varianti... Perché come dice Ettore in cucina (come in amore e in guerra) non esistono regole!

Japanese Style Carbonara

Spaghetti (100 gr. a persona)
Pancetta
Un uovo intero + un “Onsen Tamago” (a persona)
Pecorino o Parmigiano grattugiato
Panna
Pepe nero
Erba cipollina
Olio extravergine di oliva

Mischiare in una ciotola il formaggio con il pepe nero. Sbattere separatamente le uova con la panna. Far bollire l’acqua e immergervi la pasta. Rosolate in un’ampia padella la pancetta nell’olio con l’erba cipollina. Preparate a parte le uova in camicia. Scolare la pasta al dente e mettetela nella padella appena tolta dal fuoco, girate, quindi aggiungete il formaggio. Mischiate infine velocemente le uova con la panna senza farle rapprendere. Mettete gli spaghetti nel piatto e sopra ogni porzione poggiate l’uovo in camicia, guarnite con una spolverata di erba cipollina.

Carbonara tradizionale con varianti mie

Pasta (100 gr. a persona) a me piacciono gli spaghetti
(insieme a bucatini e rigatoni sono le qualità più usate a Roma)
Guanciale di maiale
Un tuorlo d’uovo a persona + un uovo intero
Pecorino romano (o metà Pecorino e metà Parmigiano)
Pepe nero
Sale
Olio extravergine di oliva

Prendete un terzo del formaggio e mischiatelo con il pepe e le uova sbattute. Rosolate bene il guanciale in una padella con l’olio rendendolo croccante e toglietelo dal fuoco. Scolate la pasta al dente e ponetela in una terrina, versateci sopra il guanciale, aggiungete un terzo del formaggio e mischiate; aggiungete le uova con il formaggio e mischiate; aggiungete il resto del formaggio, mischiate e servite.

A me piace anche rosolare il guanciale con poca cipolla bianca e un cucchiaio di latte. O aggiungere due cucchiai di acqua di cottura mentre amalgamo il formaggio. Non è ortodossa ma risulta delicata e saporita insieme. Tenete conto che il pecorino romano che si acquista fuori dal Lazio spesso non è forte come l’originale. Perde per strada quasi tutto il suo gusto!!

giovedì 3 ottobre 2013

Doppio suicidio d'amore a Sonezaki - Al Teatro Argentina di Roma

Ricordate il delicato e poetico film Dolls di Kitano Takeshi? Personaggi come bambole guidate dai fili di un tragico destino, le loro storie erano intrecciate con un incantevole spettacolo di bunraku il teatro delle marionette giapponesi. Marionette che divenivano umane, soffrivano e morivano per amore. Il 4 e 5 ottobre al Teatro Argentina di Roma va in scena in prima assoluta Doppio suicidio d'amore a Sonezaki celebre e antico dramma giapponese scritto da Chikamatsu Monzaemon.
L’autore vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 è ritenuto lo Shakespeare giapponese. I suoi testi teatrali (ben centoventi) sono spesso drammi a sfondo sociale - si ispirava a fatti di cronaca ed eventi del tempo - che narrano di amori impossibili con protagonisti semplici commercianti. Le nuove figure andavano a sostituire guerrieri e condottieri, rispecchiando i mutamenti dell’epoca, e vennero molto apprezzate dal pubblico, mentre il suicidio d’amore visto come riscatto morale subentrava all’antico senso dell’onore e ai duelli.  
Doppio suicidio d'amore a Sonezaki ci riporta al 7 aprile del 16° anno dell’era Genroku (1703), quando Tokubei, un commesso di un negozio di salsa di soia, e la sua amante Ohatsu, una cortigiana di Dojima Shinchi, compirono insieme un suicidio d’amore nella foresta di Tenjin a Sonezaki (Umeda). Un mese dopo l’accaduto, il 7 maggio 1703, il drammaturgo Chikamatsu Monzaemon trasformò il fatto in un’opera per il teatro di burattini dal titolo completo Sonezaki shinju tsuketari Kannon meguri (Doppio suicidio d’amore a Sonezaki con pellegrinaggio da Kannon), messa in scena al teatro Takemotoza di Osaka.
L’opera ottenne un successo tale che il teatro Takemotoza fece fronte a tutti i debiti fino allora contratti. Nel bunraku i personaggi vengono rappresentati con marionette di grandi dimensioni, manipolate a vista. Ciascuna marionetta è mossa da tre manovratori. Insieme al kabuki e al noh è una delle maggiori espressioni artistiche del Giappone nell’ambito delle arti performative.
Riconosciuto come bene intangibile del Paese e designato anche dall’Unesco come Patrimonio
Immateriale dell’Umanità, il bunraku vanta una storia di oltre quattro secoli che approda sul palcoscenico del Teatro Argentina nella rilettura contemporanea di un artista e fotografo noto a livello internazionale, Sugimoto Hiroshi. Insieme con la compagnia, composta da 30 elementi eredi e custodi delle arti performative tradizionali, il regista porta in scena il dramma di Chikamatsu Monzaemon nella versione integrale e originale conferendole un tocco d’avanguardia per restituirci un’opera creativa in cui convivono con grande armonia tradizione e innovazione.