domenica 22 febbraio 2015

Lupin III vs. Detective Conan

È stato un evento cinematografico speciale durato solo due giorni (10 e 11 febbraio) ma che ha coinvolto gli appassionati di animazione che attendevano la sfida tra Lupin III il più celebre ladro gentiluomo televisivo e il giovanissimo Detective Conan: Lupin III vs. Detective Conan.
Il film già uscito in Giappone nel 2013 dove aveva ottenuto un buon successo di pubblico, racconta l’avvincente inseguimento da parte di Conan di Lupin. Motivo della caccia: un prezioso diamante rubato con la solita maestria da Lupin e dai suoi sodali di sempre Jigen e Goemon per salvare l’affascinante Fujiko presa in ostaggio da un uomo misterioso.
Riuscirà il furbo ragazzino a fermare Lupin, diversamente dall’inetto collega Zenigata?
Il furto sarà solo il primo anello di una catena di eventi delittuosi che coinvolgeranno Lupin, Conan, e perfino un cantante italiano appena giunto da Napoli a Tokyo per esibirsi in un grande concerto, e ricattato da un boss siciliano.
Tra Fbi, tecnologie e armi segrete, la girandola di intrecci si sussegue senza tregua e niente è come sembra davvero.
Un regalo per i fan di entrambe le franchise di animazione coinvolte, che ha fatto un po’ storcere il naso ai puristi ma mostra tutto ciò che ci aspettiamo da Lupin, travestimenti, sosia, colpi al limite dell’impossibile, in una sorta di déjà vu; e tutto ciò che i più giovani si attendono dall’abile Detective Conan che trasformato da un’organizzazione criminale da 17enne in bambino di 7 anni tenta in ogni modo, oltre che di risolvere i casi con la sua grande astuzia, di riprendere il suo aspetto originale.
E secondo noi, nonostante le facili critiche, il mix tra i due eroi è ironico, divertente e funziona.(Central do Cinema)

domenica 15 febbraio 2015

Unbroken

Idea di pellicola eccezionale. Sceneggiata dai fratelli Coen, da LaGravenese & Nicholson, musicata da Desplat e fotografata da Deakins, la sound editor Becky Sullivan è tra le pochissime donne candidate all’Oscar in questa sezione per la sua ottima prova. Film tratto da una storia vera. Una vita leggendaria quella di Louie Zamperini: la giovinezza turbolenta di figlio di immigrati italiani nella Land of Freedom; la velocità eccezionale nella corsa che lo porta alle Olimpiadi e all’incontro con Hitler; le ore strazianti da bombardiere della Seconda Guerra Mondiale; l’incidente aereo; il naufragio sulla zattera di salvataggio durato 47 giorni a miglia e miglia dalla costa; gli squali; il tifone; la fame; la cattura da parte della marina nipponica e l’internamento nei campi;
la lotta da prigioniero di guerra, torturato da un sanguinario aguzzino di nome Mutsuhiro Watanabe, soprannominato l’“Uccello”, noto per i suoi atti sadici mentali e la sua deplorevole brutalità (lo interpreta Miyavi, vero nome Takamasa Ishihara, giovane cantautore, musicista e produttore discografico giapponese); gli anni seguenti alla liberazione segnati dal terrore tipico del disturbo post-traumatico da stress, e un finale di redenzione. Tutti elementi tipici di un biopic cult. Angelina Jolie che nel 2011 ha debuttato dietro la macchina da presa con Nella Terra del Sangue e del Miele, ambientato durante la guerra in Bosnia, e attualmente è impegnata nella produzione del suo terzo lungometraggio da regista, il dramma By the Sea, e nelle pre-produzione per la direzione del film epico Africa è con Unbroken alla sua seconda prova.
Privo di mordente il film purtroppo delude adagiandosi sui luoghi comuni e indugiando su sangue ed estremo realismo. L’impegno per i rifugiati e le cause umanitarie influenzano il lavoro della Jolie che tiene in secondo piano quella sorta di pietas per l’essere umano in sé in un bianco o nero privo di grigio dove i prigionieri in quanto americani sono vittime coraggiose mentre i nemici giapponesi sempre e solo crudeli e senza possibilità di redenzione. Vi è una sorta di rimando all’ottica della Passione firmata da Mel Gibson, scena emblematica quella in cui il prigioniero Louie è costretto a sollevare sulle spalle una gigantesca trave. Intensa e vibrante l’interpretazione del protagonista, l’emergente attore inglese, Jack O'Connell. (Central do Cinema)

domenica 8 febbraio 2015

Buon giorno - Ohayō

Nel 1959 Yasujirō Ozu dirige una commedia a colori, parziale remake di un suo precedente lavoro muto e in bianco e nero risalente al 1932 dal titolo: Sono nato, ma... (I Was Born, But...). La nuova pellicola è Buon giorno (titolo originale Ohayō). Il film, ambientato a Tōkyō, narra di due bambini, due fratelli, Minoru e Isamu Hayashi, che mettono in atto uno sciopero del silenzio per convincere il padre ad acquistare un televisore e poter vedere così liberamente gli incontri di sumo trasmessi sul piccolo schermo. La Tv infatti esercita su di loro un grande fascino e ogni giorno invece di andare a lezione d'inglese, si recano di nascosto dai vicini bohémiens che possiedono un apparecchio in una sorta di gioco proibito. Quando il padre, un uomo molto rigido, lo scopre e vieta loro di farlo, temendo che lo spirito libero respirato in un ambiente diverso possa contagiarli e la scarsa reputazione di cui i vicini godono li corrompa, i due piccoli decidono di chiudersi nel mutismo.
Il loro voto viene portato avanti con una grande fermezza, nonostante la giovane età, e coinvolge le ore di scuola e gli insegnanti, il tutor d'inglese e il vicinato, in breve tutta la comunità che ruota loro intorno. Il quartiere e le sue ipocrisie vengono così messi a nudo e si innescano dinamiche e divertenti gag che smascherano gli adulti. Ciò che i piccoli Minoru e Isamu non sopportano sono quelle formalità talvolta prive di senso, parole gentili come un semplice
"Buongiorno" dietro le quali gli adulti si nascondono per non rivelare ciò che realmente pensano. Una realtà di pettegolezzi e sentimenti repressi dalla quale i bimbi si sentono soffocati. E la loro silenziosa rivolta porterà buoni frutti. Il severo padre finirà per acquistare un televisore per aiutare un vicino nel suo nuovo lavoro di venditore e il tutor d'inglese inizierà una storia d'amore con la loro zia. Due piccoli e straordinari attori supportati da un cast di abili veterani, un film ricco di humor.
Il mondo cambiato dai ragazzini.

domenica 1 febbraio 2015

Postcard - Ichimai no hagaki

Kaneto Shindō scrive e dirige il suo ultimo film nel 2010 a 98 anni: Postcard - Ichimai no hagaki e viene scelto dal Giappone come proprio rappresentante agli Oscar (pur non riuscendo a rientrare nella cinquina dei migliori film stranieri). Una carriera la sua durata oltre 70 anni. Nato a Hiroshima nel 1912, il legame con le sue origini lo influenzerà per tutta l’esistenza. Dirigerà poco meno di 50 pellicole e ne sceneggerà più di 200. Molte saranno autobiografiche e I bambini di Hiroshima (Genbaku no ko) del 1952 sugli effetti del dramma del 6 agosto sarà tra i suoi capolavori. Sono storie molto umane le sue, caratterizzate da persone comuni vittime dei potenti o in lotta per la sopravvivenza in una terra ostile come il bellissimo L'isola nuda (Hadaka no shima) del 1960. Si tratta di una pellicola senza dialoghi, un poema disperato ed essenziale che narra la vita di una famiglia, marito, moglie e due figli, su un’isola selvatica priva d’acqua dolce. La scena iniziale con i personaggi che pazientemente trasportano sulle spalle gli 
antichi secchi per bagnare gli aridi campi rimanda come in uno specchio al finale di Postcard, schiene che trasportano simbolicamente il peso dell’esistenza. Ispirato all’esperienza militare del regista, Postcard racconta del destino che colpisce alla cieca generando drammi: chi muore in battaglia lasciando una famiglia a piangerlo e chi torna e vive la colpa di essere sopravvissuto ai propri compagni e non trova nessuno ad attenderlo.