domenica 18 gennaio 2015

Pastoral: To Die in the Country - Den-en ni shisu

Pellicola scritta e diretta da Shūji Terayama, Pastoral: To Die in the Country, datata 1974, fu scelta per la 28ma edizione del Festival di Cannes. Bizzarro Amarcord in salsa agrodolce giapponese
(seguiva di un anno il capolavoro felliniano)
ne accoglie lo spirito geniale e stravagante.
Il film si apre come un colorato viaggio nell’infanzia dello stesso regista.
Un padre morto in guerra, una madre iperprotettiva.
Un piccolo villaggio dominato da un gruppo di anziane e bigotte megere con una benda nera sull’occhio che spingono una giovane donna ad abbandonare il bimbo avuto da padre ignoto nell’acqua del fiume. Un circo nei pressi del paese ricolmo di personaggi curiosi tra i quali una donna-cannone che prega insistentemente di essere gonfiata con una pompa.
Le prime esperienze sessuali, salti tra il passato e il futuro del protagonista che mostrano come anche la realtà più rosea celasse lati oscuri.
Emblematico lo Shūji bambino che gioca a nascondino nel cimitero e i compagni d’infanzia che sbucano da dietro le lapidi mutati nei fantasmi adulti del suo vissuto. Memoria fluttuante che richiama le visioni di Jodorowsky.
Colori che virano dal seppia dei ricordi iniziali, al blu-viola scuro del villaggio con le vecchie che aleggiano come neri corvi, dal caleidoscopio caramella giallo-verde-rosato delle atmosfere circensi, al rosso sangue della disperazione, al bianco e nero del presente in stile noir.

Un film nel film, maschere che si intrecciano con orologi a pendolo, eleganti prostitute e sogni grotteschi.
Terayama, morto nel 1983 a soli 47 anni di cirrosi epatica, fu poeta e drammaturgo, scrittore, regista e fotografo, impresario teatrale, pungente iconoclasta.
Lasciò gli studi di letteratura per lavorare nei bar di Shinjuku, più a suo agio nell’ambiente delle scommesse, tra boxe e corse dei cavalli che all’università.
Il suo cinema fu surreale
e sperimentale.

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