sabato 20 luglio 2013

Miike Takashi e il suo canone del male

Il Giappone è un paese di guerrieri. Quando negli anni ‘70 le delegazioni venivano in visita nelle nostre scuole molti chiedevano stupiti come gli insegnanti riuscissero a mantenere ordine e disciplina senza usare le maniere forti. Rabbia e aggressività corrono sotterranee nei corridoi degli edifici scolastici ed esplodono sotto forma di bullismo, rovescio della medaglia del rapporto tra senpai e kohai. Anche le uniformi scolastiche alla marinara che specialmente in versione femminile sembrano tanto kawaii non sono altro che una rivisitazione delle divise militari della marina reale britannica. Miike Takashi con il suo Aku no kyōten in italiano tradotto ne Il canone del male getta uno sguardo dissacrante e talvolta compiaciuto sulla realtà della scuola. Estetica, culto del corpo e della guerra - esemplificato nelle attività sportive scolastiche: tiro con l’arco e kendō ma anche tiro a segno. Un Giappone che oscilla tra i più antichi miti germanici di Odino e della purezza della razza e il mito di un’America moderna che rimanda nella sua parte peggiore agli orrori di serial killer cannibali o alle stragi come quella di Columbine. La Todai (la Harvard giapponese) simbolo dell’eccellenza, l’insegnante perfetto amato dagli studenti: tutte certezze che si sgretolano una ad una. Segreti e menzogne, omosessualità, prostituzione e pedofilia, la scuola embrione di una società marcia al suo interno, guardata con l’occhio cinico del protagonista, uno splendido Itō Hideaki (nel quale il regista pare identificarsi), che muove i fili delle vite altrui come un atroce burattinaio. Il rischio di un calderone splatter in cui tutto precipita sussiste. Ma Miike riesce a mantenere il giusto equilibrio tra ironia e orrore.

3 commenti:

  1. grande miike! un genio!
    nick

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  2. Non capisco l'uso della violenza che mi sembra eccessivo in tanti film orientali, che cosa vogliono dimostrare?
    Lara

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    1. Credo che la violenza diventi un vero e proprio codice comunicativo che punta a impressionare per trasmettere un messaggio con maggior forza. Spesso è fine a se stessa, ma non nel caso di alcuni veri autori come Miike. La sua - dal mio punto di vista - è una critica profonda e feroce ad un certo tipo di società giapponese...

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